Tecnologia e ambiente: l’inquinamento da internet
La maggior parte di noi associa il concetto di internet a qualcosa di astratto, dematerializzato. Tuttavia, sebbene in larga parte sia così, bisogna considerarne anche l’aspetto “tangibile”, che è causa di inquinamento e consumo di risorse che sono sempre più limitate. Gli effetti negativi sull’ambiente dell’inquinamento da internet derivano da due categorie: la produzione dei dispositivi e il loro utilizzo. Nel primo caso bisogna considerare gli effetti nocivi che derivano dalla fase di approvvigionamento dei materiali e componenti hardware, dalla fase produttiva (soprattutto inquinamento atmosferico ed emissioni di carbonio) e dalla fase di smaltimento (si stima che annualmente vengano cestinati 6,5 miliardi di dollari di elettronica, con un riciclo di solo il 20%).
Lo smaltimento dei rifiuti tecnologici
Secondo uno studio condotto dall’European Parliamentary group Greens/EFA, i dispositivi meno longevi sono gli smartphone e i telefoni cellulare (vita media di 2 anni e mezzo), ma anche tablet (con una vita media di 3 anni) e i laptop (con una vita media di 4 anni). Questi dati sono confermati anche dalle stime sulla quantità di rifiuti elettronici prodotti: secondo Eurostat, nel 2019, la media europea è pari a 181,6 migliaia di tonnellate, superata di gran lunga dall’Italia che ne ha prodotte 462.
Utilizzo = inquinamento
Anche l’utilizzo della tecnologia provoca danni: raccogliere, archiviare ed elaborare dati consuma molta energia e crea molto calore, così come l’impiego vero proprio.
Per fare un esempio, possiamo fare riferimento all’invio di e-mail. Secondo uno studio di Legambiente, inviare 20 e-mail al giorno in un anno genera la stessa produzione di CO2 di un’auto che percorre 1000 km.
Invece, una ricerca su Google genera un consumo da 0,2 a 7 grammi di CO2. Si stima, infatti, che le circa 3,5 miliardi di ricerche giornaliere provocano il 40% dell’impronta di carbonio di internet.
Anche guardare un video contribuisce all’inquinamento: 10 ore di video in HD consumano più byte di tutti gli articoli in lingua inglese di Wikipedia. L’intera industria della comunicazione e dell’informazione produce all’anno più di 830 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari al 2% delle emissioni globali di CO2.
Le previsioni per il futuro
Quanto detto finora ci permette di capire e contestualizzare un fenomeno la cui crescita, purtroppo, è in aumento e a quanto pare, non si fermerà. Difatti, le previsioni sul consumo di energia delle tecnologie digitali fornite dallo studio “The Shift Project” mostrano che il trend fino al 2025 è in crescita. Gli scenari ipotizzati sono due: quello atteso e quello definito di “sobrietà digitale” (mira a ridurre l’impatto ambientale della tecnologia digitale attraverso l’acquisto di dispositivi meno potenti e sostituiti il più raramente possibile). Considerandoli entrambi, i Data Center sono quelli che registrano un consumo stimato sempre in crescita; tuttavia, se nello scenario atteso il consumo di energia è di 1.918 TWh, nello scenario sobrio il consumo diminuisce a 716 TWh.
La diretta conseguenza del consumo di energia è l’emissione di gas serra, e quindi l’inquinamento. In relazione all’emissione di gas serra, fermo restando i due scenari già presentati, ipotizzando l’inquinamento prodotto in fase di produzione e quello in fase di utilizzo, quello che emerge è che sono prodotte più emissioni nella fase di utilizzo e che anche queste sono destinate ad aumentare. Allo stesso modo, lo scenario di sobrietà digitale ci prospetta una situazione comunque in miglioramento, segno che volendo, e provando a cambiare i nostri comportamenti digitali, nel futuro c’è ancora speranza di invertire la rotta e andare incontro verso una cultura digitale sempre più sostenibile.